INTRODUZIONE
Il nostro viaggio alla scoperta dei difetti e delle lesioni dello smalto continua: oggi parliamo di amelogenesi imperfetta.
L’amelogenesi imperfetta (AI) è un gruppo eterogeneo di condizioni genetiche legate allo sviluppo dei denti, caratterizzato da una formazione anomala dello smalto.
È una patologia ereditaria abbastanza rara che interessa sia la dentizione decidua che permanente, determinando problematiche sia estetiche che funzionali abbastanza severe al paziente che ne è affetto. L’incidenza della patologia varia molto in base all’area geografica esaminata ma i dati dei vari studi scientifici suggeriscono che la prevalenza globale media è inferiore allo 0,5%.
Il tipo di ereditarietà alla base dell’amelogenesi imperfetta è solitamente di tipo autosomico dominante, ovvero causata dalla mutazione solamente su una delle due copie di un gene; quella paterna o quella materna. Nell’ereditarietà autosomica dominante la malattia si trasmette tipicamente da genitore a figlio, talvolta però i genitori possono essere clinicamente sani.
Alcune malattie sono invece ereditarie con forme recessive. Questo significa che affinché si manifesti la malattia il soggetto deve ereditare 2 copie di geni mutati (una copia mutata da entrambi i genitori). Spesso anche l’AI può essere di tipo recessivo o ancora legata esclusivamente al cromosoma X.
Nel caso “autosomico dominante” si avrà il 50% di possibilità di ricevere il gene mutato. Invece, nella condizione “autosomico recessivo” il genitore non affetto da amelogenesi imperfetta avrà figli affetti con una probabilità che varia da 1 a 4.
Esistono 14 mutazioni che sono state identificate nel gene AMELX, ovvero il gene coinvolto nella formazione dello smalto. Queste mutazioni hanno effetto su una proteina (l’amelogenina), causando cambiamenti di singoli aminoacidi che porteranno alla formazione di smalto non maturo o ipoplasico.
Nel caso di mutazioni legate al gene ENAM, che interviene nella formazione dello smalto, sono state invece identificate 4 differenti mutazioni che interessano altre proteine coinvolte nelle differenti fasi di sviluppo e mineralizzazione dell’elemento dentale.
LA DIAGNOSI
La diagnosi di amelogenesi imperfetta si basa principalmente sulla valutazione clinica e sui fenotipi della patologia (ovvero come la malattia si manifesta). Importante è conoscere la storia familiare e tracciare un albero genealogico legato alla patologia.
La classificazione di Witkop (considerata però poco soddisfacente) è composta da 4 fenotipi e 10 sottotipi. Si possono anche associare valutazioni radiografiche, diagnosi molecolare e genetiche (queste ultime sono però molto più utili a livello scientifico e come strumento di ricerca).
È importante poi identificare ed escludere altre cause legate ai difetti dello smalto, siano essi estrinseci o intrinseci. Fondamentale è la storia medica passata, diagnosi differenziali con fluorosi, ipoplasia, ipomineralizzazione traumatica e MIH.
Da un punto di vista prettamente clinico lo smalto può essere ipoplasico, impomeralizzato o entrambi. Gli elementi dentali affetti da AI sono normalmente di piccole dimensioni, discromici, rugosi e “morbidi” (aspetto legato ovviamente alla minor maturazione dello smalto stesso).
Il fenotipo è legato al fattore ereditario, alla mutazione coinvolta, all’espressione proteica e ai cambiamenti biochimici associati alle mutazioni.
IL TRATTAMENTO
Gli obiettivi del trattamento, che deve necessariamente essere di tipo multidisciplinare, mirano al miglioramento estetico, funzionale e preventivo per evitare la perdita della dimensione verticale e l’ipersensibilità dentale.
Bisogna precisare comunque che a causa di una elevata porosità dello smalto e la presenza di aree fortemente demineralizzate, nonostante gli enormi progressi dell’odontoiatria estetica, i trattamenti conservativi restano ancora di difficile esecuzione a causa di un minor legame delle resine composite con la struttura del dente. Questo fenomeno è legato alla presenza di un maggior substrato organico rispetto a quello inorganico, ovvero una maggior presenza di fluidi proteici e lipidici e una minor presenza di cristalli di idrossiapatite.
Come descritto precedentemente, l’incidenza della patologia è bassa e quindi raramente ci capiterà di vedere pazienti affetti da amelogenesi imperfetta.
Se dovessimo incontrarne uno nella nostra pratica clinica, come possiamo intervenire in qualità di igienisti dentali ?
Oltre al costante e attento controllo del biofilm batterico, che mira anche alla prevenzione di future lesioni cariose e altre patologie, entrano in gioco le terapie remineralizzanti che favoriscono il miglioramento della struttura dei tessuti dentali e ci permettono di “nutrire” correttamente il nostro smalto.
La terapia è sicuramente lunga ma il nostro scopo con le mousse a base di calcio e fosfato amorfo + fluoro (che ricordo essere il principio attivo maggiormente citato nella letteratura scientifica), è quello di ripristinare parte della matrice inorganica e diminuire la percentuale di matrice organica presente nella struttura dello smalto dentale ipomineralizzato.
Una volta effettuato un trattamento remineralizzante, mantenendo quindi sotto controllo la sensibilità dentale, è possibile effettuare delle sigillature di solchi e fossette non solo nei settori posteriori ma ovunque ve ne sia necessità (il tutto ovviamente a scopo preventivo).
Il lavoro di team (igienista, pedodontista, conservatore, ortodontista, protesista) nella gestione di questi pazienti così come nei pazienti affetti da MIH, è fondamentale per il successo a lungo termine della terapia e nel controllare l’aspetto psicologico, estetico e funzionale.
Dott. Daniele Modesti – Igienista Dentale
Bibliografia
Amelogenesis imperfecta: an introduction. British Dental Journal Vol. 212 N. 8, Apr. 201
Amelogenesis Imperfecta: Case Study. Operative Dentistry, 2017, 42-5, 457-469
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Amelogenesis imperfecta: a classification and catalogue for the 21st century. Oral Dis 2003, 9(1):19-23
Amelogenesis imperfecta – a systematic literature review of associated dental and oro-facial abnormalities and their impact on patients. Acta Odontol Scand 2008; 66: 193–199